Classi sociali prima della Rivoluzione

Proseguendo nella nostra disamina relativa alle premesse che consentirono alla Francia di arrivare a quella che ancora oggi viene conosciuta e definita come ‘La Rivoluzione dell’Occidente’ (in quanto inferse un colpo mortale al feudalesimo, realizzando una nuova società fondata sui principi della libertà e dell’uguaglianza civile; partita dalla Francia, ebbe ripercussioni profonde in Europa e nel mondo, avviando un processo inarrestabile di liberazione che si realizzerà in tutto l’arco del XIX secolo), vediamo ora la situazione presente alla vigilia della Rivoluzione dal punto di vista delle classi sociali.

Con una tenace azione secolare, durante il XVIII secolo, la monarchia aveva realizzato lo Stato assoluto comprimendo il potere della nobiltà e riducendo la cosiddetta nobiltà di spada (i grandi del regno) al rango di cortigiani; aveva tuttavia lasciato loro diversi privilegi sociali ed economici, esentandoli dal pagamento delle imposte, riservando loro le cariche di corte e gli alti gradi dell’esercito, sottraendoli alla giurisdizione dei tribunali ordinari. I nobili continuavano inoltre a godere nelle campagne di antichi diritti feudali. In sostanza la nobiltà, pur avendo cessato di assolvere alle funzioni che avevano giustificato in passato la sua preminenza sociale, continuava a godere di un trattamento privilegiato, non più conforme al mutamento dei tempi.

Un gradino al di sotto della nobiltà di spada era la cosiddetta nobiltà di toga, costituita dagli alti magistrati di origine borghese che sedevano nei Parlamenti, antichi organismi dotati di competenze burocratico-giuridiche, che avevano il compito di registrare gli atti emanati dal re.

Diritti e privilegi pari a quelli della nobiltà di spada erano riconosciuti al clero o, per meglio dire, all’alto clero d’origine aristocratica, che fruiva, a titolo di beneficio, di vasti patrimoni inalienabili (manimorte) sui quali esercitava gli stessi diritti della nobiltà. Esso disponeva poi dei proventi delle decime (la decima parte del raccolto) versate obbligatoriamente dai contadini alle chiese e ai conventi. Ben diversa la condizione del basso clero di origine plebea, che viveva nelle parrocchie di campagna, conducendo vita non troppo differente da quella dei contadini, dei quali era perciò portato a condividere le aspirazioni e le rivendicazioni.

Teoricamente subalterno alla nobiltà ed al clero era il Terzo Stato, costituito nei suoi gradi superiori dalla grande e media borghesia degli affari, del commercio, delle professioni (mercanti, banchieri, medici, notai, uomini di legge etc.): una classe attiva sollecitata dagli ideali del profitto, aperta alla cultura del secolo, consapevole dei propri diritti e perciò decisa a mutare in proprio favore le condizioni generali della vita associata, nonché la forma stessa dello Stato.
La borghesia, dopo aver costituito un valido sostegno per la corono impegnata nella lotta contro i nobili, aveva invece negli ultimi decenni cominciato a guardare con sospetto la politica di Luigi XV e di Luigi XVI, due sovrani che sembrava avessero consentito all’aristocrazia di rialzare la testa. A mano a mano che gli avvenimenti, imponendo alla corona difficili scelte, rivelarono che il re era il supremo difensore dell’antico regime, una distanza sempre maggiore si creò tra borghesia e corona. Fu proprio questo il contesto che portò il Terzo Stato sino alla frattura rivoluzionaria.

Nei suoi gradi inferiori il Terzo Stato era costituito dai ceti cittadini e contadini, tutto un mondo gravitante intorno alla piccola impresa (bottega artigiana e podere) basata sulla proprietà privata o sull’affitto e gestita dal singolo o dal gruppo familiare: maestri d’arte, bottegai, contadini possidenti, fittavoli.
Ancora al di sotto di costoro erano gli esclusi dalla possidenza, vincolati ad un precario rapporto di lavoro: garzoni di bottega, contadini poveri, braccianti, disoccupati, vagabondi: quelli che più tardi si riconosceranno come Quarto Stato, insomma. Dai gruppi politicamente più dinamici degli strati inferiori del Terzo Stato (ma anche dal Quarto) usciranno i ‘sanculotti’, che costituiranno il nerbo dell’esercito della Rivoluzione nella sua fase repubblicano-democratica (1792-94). In questo contesto sociale era esiguo il numero degli operai veri e propri, come esiguo era il numero delle fabbriche (da non dimenticare che, in questa fase storica, la rivoluzione industriale era appena agli inizi. Alberto Soboul, storico francese, tra i massimi esperti della Rivoluzione francese, sostenne che il Terzo Stato fosse unito dalla comune opposizione ai privilegiati e dalla rivendicazione dell’uguaglianza civile. Una volta conquistata, la solidarietà delle varie categorie sociali del Terzo si dissolse, dando origine alle lotte di classe durante la Rivoluzione stessa.

I limiti dell’opera dei sovrani assoluti apparivano manifesti anche nel campo amministrativo. La Francia era ancora, alla fine del XVIII secolo, un mosaico di circoscrizioni territoriali, varie per estensione, leggi, consuetudini, istituti; ognuna conservava pesi, misure, sistemi fiscali e di monetazione differenti. Una condizione, quella appena descritta, assolutamente anacronistica e intollerabile che mortificava l’intraprendenza della borghesia in un’età in cui la produzione aumentava, si venivano diffondendo le dottrine del liberismo economico, un’età in cui l’illuminata iniziativa dei principi, sostenuta dai ceti più dinamici, si sforzava in tutta l’Europa di avviare l’unificazione amministrativa e legislativa, al fine di favorire lo scambio dei prodotti della terra e dei manufatti.

Curiosità: Sans-culotte (da cui sanculotto) letteralmente significa Senza pantaloni corti. In Francia, negli anni Novanta del Settecento, era il termine spregiativo con il quale gli aristocratici indicavano i popolani in genere e soprattutto i rivoluzionari, cioè quanti indossavano i pantaloni lunghi invece di quelli corti (culotte), indumento caratteristico delle classi elevate.

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